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San Cesareo, 9 novembre, ore 18 

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Per la quarta edizione di "ConTesti diversi. Fiera della piccola e media editoria e delle librerie indipendenti", (San Cesareo, centro commerciale “La Noce"), Timisoara Pinto presenta il volume con due cd allegati  Lavorare con lentezza. Enzo Del re, il corpofonista.

Interviene Andrea Satta (Tetes de bois), una delle molte voci che animano questo racconto corale attorno a una straordiniaria vicenda umana ed artistica.

 

 

 Mola di Bari. Torno qui. Qui dove viveva Enzo Del Re. Qualche torrida estate fa l’ho conosciuto, insieme con Timi. Una donna spazzava la soglia bianca della porta accanto e piedi sul marmo ci indicò due finestre mute e un portone, col cognome a fianco scritto grosso. Busso. “Chi è?”. “Amici!”. Come nei film. Quaranta gradi, primo pomeriggio, luce di Puglia che non confondi con niente altro. Salgo con titubanza, scale ripide fino alla sua stanza. In mutandoni tenuti su alti, cappello e canottiera, ci accoglie, con diffidenza. Gira attorno a me come farebbe un indiano con uno yankee spaurito, ingenuamente finito proprio al centro dell’accampamento nemico. “Sono Andrea, quello dei Tetes…”. “Tu sei stato al Costanzo Show”. “Sì, dieci anni fa…”, mi giustifico. “O dentro o fuori dal motore!”.

Sempre fuori dal motore, certo, è il suo verso più noto, Lavorare con lentezza, Vivere al rallentatore. Un teorico della ‘decrescita” in anticipo sui tempi.

Volevo portarlo al mio festival vicino Roma. Operazione complicata. Un tempo, Enzo voleva essere pagato come un operaio della Fiat, 70 mila lire. Poi una volta venne a sapere che nella sua città, Mola, invece che a lui, offrirono la serata dell’estate ad Anna Oxa, con cachet milionario. Si offese e da allora decise che il suo nuovo compenso sarebbe stato il più alto possibile per un cantore popolare: 3000 euro. Fine dei concerti per Enzo Del Re. La domenica poi, non poteva proprio mai, lui andava sempre a Polignano dalla sorella a mangiare polpo e caciocavallo. Polpo fu anche quella sera a Mola. Amava la sua città e vendeva le “musicassette” nell’era del digitale spinto, con arrotolato dentro il testo, fitto fitto, scritto a mano in “molese” stretto.

Alla fine parlai col sindaco del mio festival, annullai altre cose, presi 3000 euro e glieli proposi. Mi fece Enzo: “Chissà se sarò libero, quel giorno!”, e io: “Ma non suoni da cento anni!”, e poi di domenica no (sorella+caciocavallo+polpo a Polignano a Mare). E invece fu proprio di domenica. Venne in treno, coincidenze comprese, dodici ore. Il suo concerto fu un mantra straordinario. Erano previsti trenta minuti, tre pezzi. Tre pezzi, ma un’ora e trenta. Alla fine rimanemmo in quattro, rapiti, ma quattro. Lui imperturbabile, spiegò: “Il pubblico è il padrone e l’artista è l’operaio, il lavoratore deve resistere un minuto in più di chi comanda”. Battemmo i piedi insieme alle mani per sembrare di più.

Corpofonista si faceva chiamare, la sedia, il suo unico strumento, era la memoria della violenza che aveva assassinato Sacco e Vanzetti, lui suonava il loro martirio. Così diventammo amici, mi voleva bene. Enzo era un genio (Andrea Satta).