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Nel presentare la prima antologia discografica sulla musica popolare italiana, frutto di un lungo e appassionato lavoro di ricerca sul campo, Alan Lomax e Diego Carpitella scrivevano, nell’estate del 1955: “la musica contadina italiana ha vissuto, per secoli, quasi senza subire l’influenza delle grandi correnti della musica colta. Ha seguito il suo corso, sconosciuta e negletta, come un grande fiume sotterraneo” [1] e auspicavano che “ora che questo grande fiume musicale sotterraneo emerge per la prima volta alla luce, fresco dalle sue antiche sorgenti, può forse ricoprire un importante ruolo nella crescita di una nuova cultura italiana”.
Con queste suggestioni e con questa consapevolezza abbiamo condotto le nostre ricerche di etnomusicologia in Calabria, a partire dalla seconda metà degli anni Settanta in poi[2], trovando in questa regione un terreno di ricerca particolarmente fecondo: la musica tradizionale è tuttora viva e praticata da musicisti contadini e pastori in grado di perpetuare canti e “suoni” di grande bellezza mediante un linguaggio sonoro che costituisce, ancora oggi, per una parte non indifferente della popolazione, un punto di riferimento nel proprio orizzonte culturale. Abbiamo quindi cercato di cogliere e di restituire, attraverso una documentazione controllata e selezionata da un punto di vista sia musicale sia tecnico, il valore espressivo, l’originalità e le potenzialità che la musica popolare di questa regione offre nelle sue punte più avanzate e che le immagini qui pubblicate e il disco allegato vogliono testimoniare.
Sono soprattutto le grandi feste religiose, a cui le popolazioni affluiscono in pellegrinaggi annuali, a polarizzare la vita musicale della regione, favorendo incontri e scambi tra i musicisti e determinando le occasioni più propizie per il ballo. I musicisti si recano ai santuari della Madonna di Polsi (Rc) (brani 9, 23; foto 115-134) o della Madonna del Pettoruto (Cs) (brano 5; foto 105-114) o ad altri, sollecitati da una devozione che prevede il festeggiamento del santo o della Madonna attraverso la musica e il ballo[3]. La particolare tensione emotiva che l’occasione di per sé determina, aggiunta all’eccitazione data dall’elemento conviviale e dalla veglia da parte di chi permane al santuario per più giorni, si riflettono nelle esecuzioni musicali, che spesso raggiungono una tale forza espressiva da renderle irripetibili al di fuori di tali contesti. Le feste religiose danno anche luogo alle musiche processionali, eseguite da vari tipi di formazioni strumentali (brano 13; foto 26, 135-140) e alla musica vocale, eseguita prevalentemente da donne (brano 19; foto 111-112).
Le occasioni rituali connesse con le scadenze calendariali dell’anno agricolo costituiscono anch’esse eventi di partecipazione musicale, caratterizzati soprattutto dalle questue e dai relativi canti, che vengono portati di casa in casa da compagnie di musicisti durante le festività del ciclo invernale, come la notte di Capodanno (brano 17; foto 59-61, 76), il Carnevale (foto 77-85), il martedì di Pasqua (brano 14; foto 86-89). Ma anche la visita a un amico (brano 1), la partenza di un parente, possono costituire occasioni di canto, dando luogo a serenate, che, naturalmente, spesso si rivolgono con particolare intensità alla donna amata (brani 4, 15, 20).
Molti sono anche i repertori non legati a particolari occasioni o polifunzionali: suonate strumentali, oppure canti lirici e narrativi possono venire eseguiti nelle più diverse scadenze festive e rituali, ma anche nelle cerimonie familiari, durante i lavori agricoli, oppure soltanto “per passare il tempo” in casa, in paese o in campagna. Per passare il tempo vengono anche costruiti e suonati, dai pastori, numerosi strumenti stagionali effimeri, fra cui flauti di corteccia (brano 6; foto 8-9). Nel disco è anche documentata un’occasione particolare: la performance di un costruttore-venditore di tamburelli, usata come réclame per il prodotto da lui stesso offerto in vendita (brano 22).
Benché la musica tradizionale sia un patrimonio collettivo, non tutti la praticano o vi partecipano nella stessa misura. Come già è stato osservato per altre regioni italiane, anche in Calabria i cantori e i suonatori ritenuti “bravi” e maggiormente apprezzati dalla comunità sono in numero limitato[4]. Sono i conoscitori più profondi del patrimonio tradizionale, in grado di perpetuarlo e reinventarlo di volta in volta sulla base delle mille possibilità che la tradizione stessa offre. Per il ricercatore non è difficile individuarli, data la loro posizione di centralità all’interno delle comunità e nelle occasioni pubbliche festive e rituali. La specializzazione musicale nell’ambito del fare musica tradizionale può legarsi a un particolare repertorio o a un particolare strumento, o ancora, a una particolare occasione. Essa genera comunque diverse forme di “professionismo”, che a volte si limitano al mero riconoscimento sociale, altre volte prevedono veri e propri ingaggi con tanto di rimunerazione in denaro. Quest’ultimo è il caso, ad esempio, delle formazioni strumentali che vengono chiamate a suonare in occasione di feste per accompagnare novene e processioni: bande, fanfare e bande piluse (brano 13; foto 25-26), tamburinari (foto 90-92, 135-140) e altri.
Soltanto rivolgendosi ai “professionisti” della musica popolare si ha la garanzia di poter realizzare una documentazione di qualità. È la metodologia che abbiamo perseguito nel corso delle nostre ricerche, avvicinando i “maestri” contadini e pastori, seguendoli nelle loro attività musicali pubbliche e private, partecipando alle loro esistenze e cercando di valorizzare la loro produzione.
(…) Brani musicali e fotografie rappresentano forme, repertori, modi, gesti, volti, espressività, etiche ed estetiche della musica popolare della Calabria, che costituiscono, nel loro insieme, un patrimonio dalla sorprendente ricchezza sonora e timbrica, dalla irruente vitalità, dagli “aspri” tratti stilistici.
[1] Si vedano le note di copertina dell’antologia discografica in due volumi, a cura di A. Lomax, D. Carpitella, Northern and Central Italy and the Albanians of Calabria e Southern Italy and the Islands, LP Columbia KL 5173 e KL 5174, 1957; riedizione italiana Folklore musicale italiano,voll. 1 e 2, LP Pull QLP 107 e 108, 1973 (“Italian peasant music [...] has lived almost without contact with the great streams of Italian fine-art music. It has followed its own course, unknown and neglected, like a great underground river”).
[2] I materiali di ricerca da noi prodotti in tale attività consistono in registrazioni sonore, fotografie e, in misura minore, videoregistrazioni e film in super 8 sonoro. Alcuni di questi materiali sono conservati in archivi pubblici: Archivio Etnico Linguistico-Musicale della Discoteca di Stato, Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma, Centro Interdipartimentale di Documentazione Demo-Antropologica dell’Università degli Studi della Calabria. Si vedano: S. Biagiola (a cura di), Etnomusica. Catalogo della musica di tradizione orale nelle registrazioni dell’Archivio Etnico Linguistico-Musicale della Discoteca di Stato, Il Ventaglio, Roma, 1986; R. Tucci, La ricerca etnomusicologica in Calabria. Le raccolte degli archivi pubblici nazionali, a.m.a. calabria, Lamezia Terme, 1998. Sulle fonti bibliografiche, nastro-discografiche e videofilmiche relative alla musica tradizionale in Calabria, si vedano: O. Cavalcanti, La cultura subalterna in Calabria (Profilo storico degli studi e bibliografia), Casa del Libro, Roma, 1982; G. Plastino, Etnomusicologia in Calabria, in “Il corriere calabrese”, 1995, pp. 7-54; Tucci, La ricerca etnomusicologica in Calabria, cit.; O. Cavalcanti, La cultura subalterna in Calabria (1981-1998). Storia degli studi e bibliografia, vol. II, Rubbettino, Soveria Mannelli, 1999; R. Tucci, Discografia della musica di tradizione orale in Calabria, in Cavalcanti, La cultura subalterna in Calabria, vol. II, cit., pp. 327-339; A. Lomax, D. Carpitella, Calabria, ed. a cura di G. Plastino, CD Rounder Records 11661-1803, 1999.
[3] Si veda G. Plastino, Musiques de fêtes en Calabre, CD Inedit W 260051, 1993.
[4] Si vedano le osservazioni di Diego Carpitella in merito alle “scholae cantorum della tradizione contadina e pastorale italiana”, D. Carpitella, Le false ideologie sul folklore musicale, in La musica in Italia, Savelli, Roma, 1978, pp. 209-239. Sulla figura del musicista tradizionale, con specifico riferimento alla Campania ma di portata più generale, si veda R. De Simone, Canti e tradizioni popolari in Campania, Lato Side, Roma, 1979, p. 9.