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L’idea di dedicare una riflessione alla musicalità “nella e della” poesia di Eugenio Cirese nasce, alcuni anni or sono, dall’ascolto, emotivamente coinvolgente, di una performance, frutto di una esperienza musicale didattica, proposta dagli adolescenti della Scuola media ad indirizzo musicale, ora Istituto comprensivo, “I. Petrone” di Campobasso.
Ricordo che mi colpì, più che il dato estetico-musicale pur molto apprezzabile, il percorso di studio e di acquisizione compiuto dagli allievi, che traspariva con evidenza dalla proposta musicale. Forse condizionato dalla mia lunga esperienza di docente di educazione musicale, mi impressionò – apparendomi chiaro l’intelligente itinerario seguito – l’idea che ispirava l’intera operazione allestita da Roberto Barone, con il supporto di Domenico De Simone.In particolare mi parve apprezzabile il grande lavoro dedicato all’ascolto della “messa in forma” del suono e del tempo presenti nella poesia di Cirese. Un tipo di lettura che affondava le radici nella antica tradizione della poesia orale e che riattivava dei meccanismi di fruizione, circolazione, trasmissione dell’espressione poetica ormai obsoleti e negletti, resi sterili dalla prassi della scrittura e lettura silenziosa.
Da una parte, fui colpito dalla forza di tale prassi che rendeva capaci degli adolescenti, più avvezzi a televisione, video giochi e hi pod, di incamerare a memoria senza sforzo apparente, o comunque con sforzo piacevolmente sostenibile, versi, ritmi, metri, e poi li metteva in grado di restituirli in “viva voce”. Dall’altra, fui folgorato – conoscendo poco, all’epoca, la poesia di Eugenio Cirese – dal come questi testi si offrivano naturalmente a tale trattamento; mi apparve in tutta la sua freschezza, in forma di nitidi disegni e affreschi sonori, il pensiero e, soprattutto, la radice dell’ispirazione poetica di Cirese. Fu una rivelazione intuire il perché la performance dei ragazzi mi arrivasse così naturale, come una sorta di ritorno, di quei testi, ad uno stadio di esistenza abbandonato, perso e, poi, ritrovato.
Nel corso degli ultimi due anni il nucleo musicale originario è diventato altro, si è arricchito di esperienze e di apporti di conoscenza di grande valore; la sua matrice ha permesso una continua ibridazione che, comunque, non ha cancellato, ma potenziato, l’intuizione iniziale.
Si è evoluto portando in sé le tracce di ogni acquisizione, di ogni pensiero, di ciascuna delle sensibilità da cui è stato attraversato. Ciononostante, è stata la primitiva esperienza di ascolto, la sua forza espressiva, che ha fatto nascere l’idea di capire meglio il mondo della poesia in dialetto di Eugenio Cirese, di cogliere le potenzialità musicali offerte dai testi dell’autore molisano e di svelare, anche attraverso l’ausilio dello sguardo visionario delle opere pittoriche di Mario Serra, le suggestioni e le evocazioni di cui si nutrono quei testi poetici: tutto ciò che avevo solo percettivamente intuito, ma che mi sollecitava a guardare e a “sentire” più da vicino.
Tale necessità si è tradotta in un itinerario di ricerca sviluppatosi su tre piani: quelli dell’analisi dei testi, della suggestione pittorica e della traduzione in musica. In tal modo, ho cercato di tessere una rete di possibili relazioni che potesse generare una diversa – auspicabilmente nuova – immagine conoscitiva della poesia di Cirese. A tale compito, oltre che l’opera musicale di Roberto Barone, la lettura interpretativa di Lucia Minetti, Luca Spagnoletti, Carlo Schneider, Marco Siniscalco e Pasquale Barone, e l’arte pittorica di Mario Serra, hanno concorso la profonda conoscenza della produzione letteraria di Eugenio Cirese messa a disposizione da Sebastiano Martelli e gli scritti – ormai storici – di Pierpaolo Pasolini e Ferruccio Ulivi, oltre a uno inedito di Ettore Paratore.
Riferimento certo, fermo nel giudizio e amorevole nel supporto, è stato Alberto Mario Cirese, che ringrazio per non avermi fatto mai mancare il suo sostegno.
Vincenzo Lombardi,
Campobasso 10 febbraio 2009