Uno stralcio dal primo capitolo del volume
Incoercibilità, insindacabilità, impenetrabilità del mare, e, dunque, un’umana sua latente incomprensibilità che attorno alla distesa equorea ha ordito di conseguenza una trama di strategie percettive, di procedure definitorie, di pratiche contenitive che attingevano ed attingono ad un piano non soltanto empirico e successivamente tecnico e scientifico, ma pure, ora esplicitamente, ora surrettiziamente, ora inconsapevolmente, magico. Un’attitudine alla risignificazione di mari e oceani in chiave, quindi, magica che ha proceduto alla elaborazione di un universo mitico specialistico, costruito ad hoc, ma soprattutto corroborato ed irrobustito da figure finalmente potenti in grado di contrapporsi alla similare possanza distruttrice dell’onda, della tempesta, del gorgo, della tromba marina, possanza dall’eziologia generatrice per lungo tempo rimasta oscura.
Rappresentazioni fantasiose e prodigiose che ieri alimentavano orizzonti tradizionalmente magico-religiosi, popolati da paradisi folklorici in seno ai quali erano messe all’opera schiere di santi a braccetto con demoni, che “pescavano” dalle profondità del mare e dell’anima mostri marini variamente fantastici ai quali, dando un volto ed un corpo, si attribuiva altresì ed innanzitutto un’evidenza “tangibile”, già essa auspicato viatico per un loro possibile controllo, per uno sperabile disinnesco di pericolosità ed aggressività.
Magismi che sotto altre spoglie mediano ancora oggi il rapporto tra l’uomo con il mare, mutuati ed alimentati da un’industria del tempo libero che incoraggia un consumo di massa della superficie marina, riverbero di un superficiale approccio ad una dimensione liquida da colonizzare secondo “solide” logiche terrestri, tanto inadeguate quanto improvvide.
In questo quadro molte sono le rappresentazioni pensabili, tutte nutrite dall’illusione di poter fare del mare morbida, accondiscendente materia plasmabile dalla quale ottenere, per magia, sue riconfigurazioni addomesticate, estetizzanti, addirittura giocose ma in primis innocue.
Da un lato il mare, trasposto sulla terra ferma, è “condensato” e ipostatizzato, imbellettato e fantasiosamente riproposto, ad esempio, nei rasserenanti confini di un acquario, in una leziosa, casalinga teca di vetro o nelle scenografiche, spesso surreali vasche di un’esposizione pubblica. Dall’altro si tramuta in fenomeno da baraccone, con cetacei e squali trasposti sulla celluloide, protagonisti, malgrado loro, di vicende che ne snaturano comunque l’identità, che ne misconoscono l’originaria collocazione in uno stato di natura dal quale sono sistematicamente prelevati per assurgere a simboli nefasti e catartici di un mare, ma specialmente di una profondità marina quale incubatrice di mostruose creature o, viceversa, per essere promossi ad edificanti ma altrettanto pasticciate metafore di sapore ecologico ed ambientalista. A farsi intrattenimento da luna park è stata talvolta anche la medesima nave, nella fattispecie il transatlantico, simbolo forse tra i più patenti dei tentativi di assoggettamento e domesticazione degli oceani da parte di un uomo che, continuando però a non fidarsi fino in fondo neppure di cotanto imponente e possente naviglio, tale naviglio ha ricollocato a terra facendone, come nei mareorami, attrazione tridimensionale per una navigazione tanto realistica quanto virtuale e definitivamente “sicura”.
Sicurezza che oggi, facendo rima con tecnologia, con performance, vuoi sportiva, atletica e fisicamente prestazionale vuoi strumentale e digitale, si suppone assoluta, totale. L’andar per mare viene proposto, ridotto, verrebbe da dire reificato al pari di una semplificata, basica, assolutamente sicura procedura alla portata di chiunque. L’andar per mare è stato pubblicizzato, non infrequentemente in chiave agonistica, spesso inutilmente estrema, come fattibile anche a bordo di minuscoli natanti progettualmente e paradossalmente poco o per nulla marini quali, ad esempio, instabili motoscafi motorizzati con troppa generosità, gozzi e gommoni plananti, multiscafi a vela, scooter ad idrogetto ed addirittura auto anfibie.
Ad una scala decisamente opposta l’andar per mare è stato ed è offerto nelle “magiche”, suadenti modalità della rinata crociera ove lusso, ricchi premi e cotillon ne fanno un intrattenimento oniroide che con la dimensione equorea non ha effettiva relazione.
Su tutto regna, dunque, una sicurezza digitale, un occhiuto, benevolo, protettivo grande fratello marinaro che mentre dovrebbe porre il navigare sotto il controllo “infallibile”, imparziale ed obiettivo, del computer costituisce invece la più recente frontiera su cui si riorganizza, si ristruttura e si ripresenta una percezione ostinatamente “magica” del mare con epiloghi del tutto tragici come recenti naufragi, collisioni, incendi avvenuti nei nostri mari stanno a ricordare.