L'Introduzione
Introduzione - La natura visiva dell’oggetto indagato, il taglio di lettura prescelto, il metodo di analisi e gli esiti editoriali fotografici e filmici della ricerca
Non si vuole qui parlare, stricto sensu, di emigrazione secondo le interpretazioni storicamente caratterizzanti l’approccio al tema da parte dell’antropologia. Proponiamo allora una riflessione maggiormente circoscritta sulle rappresentazioni dell’esperienza migratoria, dalla Basilicata verso gli Stati Uniti, dalla fine dell’Ottocento agli anni Cinquanta del Novecento, attraverso lo studio di alcuni casi. Ancora più nel dettaglio la nostra attenzione si è appuntata su certune specifiche rappresentazioni del progetto migratorio quando esso assunse le connotazioni di un’impresa caratterizzata dal raggiungimento di un benessere, dal coronamento di un successo, più o meno evidenti e consolidati, ma comunque sostanzialmente tali, tali per aver consentito agli emigranti di cui parliamo di voltare pagina, di rifondarsi, soprattutto nei casi in cui decisero di radicarsi all’estero, in un nuovo mondo, tanto duro e impietoso quanto ricco di opportunità economiche e professionali.
Volendo essere ulteriormente più precisi, in questa sede si analizzano le differenti modalità mediante le quali certuni emigranti narrarono le strade con cui giunsero alla propria affermazione rendendola decisamente assai esplicita e luminosa perché resa, confezionata e sorretta da lessici e registri eminentemente visivi. Si tratta quindi di rappresentazioni che intesero lucidamente affidarsi a stereofotografie e ad altri dispositivi del precinema, alla fotografia e infine alla cinepresa talora ulteriormente miscelate, corroborate e fortificate dall’associazione a strumenti musicali, per l’epoca, in special modo, a grammofoni a tromba. Codesto mélange di apparati era chiamato in causa per apparecchiare, sia metaforicamente, sia concretamente, delle vistose proiezioni della nuova identità economica e culturale. Secondo un costume via via radicatosi negli anni l’emigrante, pur affermatosi oltre oceano, continuava a individuare nel borgo natio un interlocutore privilegiato, borgo in cui amava fare momentanei ritorni “accompagnandosi” con foto, filmati e altra varia congerie di prodotti, manufatti, articoli “americani” tramite i quali dimostrare, stigmatizzare e sostanzialmente “certificare” la conseguita prosperità. Toccava soprattutto alle sequenze spesso appositamente girate negli Stati Uniti dagli emigrati e proiettate agli esterrefatti compaesani il compito di descrivere il nuovo mondo e i soddisfacenti modi in base ai quali chi era partito in cerca di fortuna, fortuna, batti e ribatti, aveva avuto.
Come supponiamo sia facilmente intuibile, il tema qui proposto e in questo modo tagliato e definito, in virtù della sua cogente natura “vistosa”, privilegia conseguentemente le fonti visive, si affida sul piano etnografico alle metodologie e alle tecniche di rilevazione audiovisuali. Sul terreno la telecamera in primis ha consentito la realizzazione di videointerviste ove le persone da noi interpellate non soltanto rendono una testimonianza orale ma la arricchiscono e la integrano mostrando immagini e oggetti inerenti la ricerca, dialogando talvolta tra loro e cooperando a una migliore organizzazione e definizione dei ricordi. Un ruolo altrettanto indispensabile ha svolto la riproduzione fotografica di album di famiglia, di stereofotografie, di ritagli di giornale, di documenti anagrafici, di lettere manoscritte, di suppellettili, di balocchi fattisi testimonianza cogente delle storie d’emigrazione che abbiamo potuto registrare.
Passando dalla ricerca alle modalità di restituzione di quanto raccolto e analizzato, congruentemente con l’evidente e predominante approccio antropologico-visuale che ha informato tutta l’indagine, si sono realizzati due prodotti distinti ma del tutto complementari, questo volume con testi e foto e un documentario. Nel rispetto delle reciproche retoriche espressive che presiedono alla stesura di una monografia e parimenti a sceneggiatura e regia, nel nostro caso, di un lungometraggio, i due “veicoli” dianzi ricordati assolvono al duplice compito di essere al contempo analitici e divulgativi. Alla parola è spettato il compito di restituire in una prospettiva storica e antropologica eminentemente interpretativa i caratteri di questa luminosa rappresentazione del successo conseguente alla decisione di imbarcarsi per l’America. Il volume, diviso in due parte, ricostruisce dapprima le vicende e le intraprese degli emigranti lucani da noi individuati per poi, in seconda battuta, analizzarne gli idioletti audiovisivi con cui rappresentarono e reificarono gli esiti della loro esperienza d’oltre oceano, positivamente “imbandita”. Il documentario, potendosi avvalere di foto e filmati direttamente realizzati dagli emigrati nonché di nostre riprese e videointerviste, ha in modo ancor più esplicito reso la vistosa vocazione celebrativa di siffatte testimonianze visive che, in quanto tali, esigevano di essere innanzitutto “viste” e non solo descritte. In qualche modo potremmo dire che con il documentario si passa la parola direttamente ai soggetti di questa nostra ricerca concedendoci al contempo la possibilità di utilizzare toni maggiormente emozionali, come era d’altronde nelle intenzioni di questi filmaker ante litteram e come è pure nelle corde della documentaristica medesima.
A fare da trait d’union tra libro e film è una corposa sezione fotografica collocata in piena autonomia in seno a questo volume in posizione non certo ancillare rispetto ai testi. A essa il compito di valorizzare anche le foto chiamate a cantare le lodi dell’emigrante che le realizzava, al pari dei filmati. La natura essenzialmente sintetica dello scatto fotografico che per sua intrinseca natura non può diluirsi nella più ridondante sequenza cinematografica, scotomizzando la povertà di un passato da dimenticare e sostituendolo con un presente finalmente luminoso, suggella e incornicia in maniera ancor più efficace, in modo quasi lapidario e adamantino, le materiche, fisiche risultanze del conseguito successo, con le sue location squisitamente urbane, i suoi riti festivi e familiari, i pranzi con ogni ben di Dio, i viaggi di piacere, gli ostentati consumi del tempo libero, le abitazioni e addirittura le ville. La foto realizza una riassuntiva e convincente sinossi degli elementi che più efficacemente ratificano l’acquisizione di una posizione sociale e di uno status di tutto apparente rispetto. Sempre in questa ottica si propongono pure alcuni fotogrammi estratti dai filmati effettuati dagli emigrati e da essi girati negli Stati Uniti e nei paesi di origine.
Ci piace infine sottolineare in qual modo, sullo sfondo in cui prendono corpo e si articolano queste rappresentazioni “belle”, sgargianti e suadenti dell’esperienza migratoria, agisca una precocità mediatica per mezzo della quale, anche in contesti di subalternità economica e sociale come quelli a lungo patiti dalle popolazioni rurali del nostro meridione, viene rapidamente intuita la potenza esplicativa, esemplificativa, promozionale dell’immagine “modernamente” intesa, dunque prodotta da semplici “cassette” impiegate da fotografi di studio e ambulanti, da agili folding, da più sofisticate macchine a telemetro talora con ottiche intercambiabili e finanche da professionali cineprese 16mm.
Si desidera dunque mettere in debita evidenza come anche un emigrante un tempo di umili origini, giocando consapevolmente sullo sdrucciolevole limen tra obiettività e soggettività, tra oggettività e parzialità di foto e film, sapientemente miscelando le loro valenze denotative e connotative, possa mostrarsi capace di organare con evidente e intuitivo acume una visione di sé vincente e deputata a farsi precipuamente “laudativa”.
Invitiamo quindi alla lettura e al contempo alla visione di questo nostro lavoro, di questo circoscritto esperimento che sollecita al dialogo fonti e loro derivanti modalità di analisi e decrittazione, sovente aduse a procedere distintamente, in ragione di un tema di indagine il quale, in questo specifico caso, tutte le evoca e le esige.