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A buon ascoltator…
Distogliere l’orecchio dal pieno del flusso sonoro può essere a questo punto fruttuoso: tornare all’idea di partenza che si è ripercossa in molti echi riverberanti scalpiccii, colpi, crepitii, squilli, spari, fragori, clangori, sibili, fischi, voci, parole, melodie vocali e strumentali. Prestare ascolto può essere inteso come un sistema per vivere la realtà, per organizzare il proprio stare nel mondo?
All’inizio della ricerca l’ipotesi risuonava come il balbettio disarticolato e confuso, ma allo stesso tempo vivace e cristallino di un bambino che sta imparando a parlare. Si può essere certi dell’ascolto? Cosa vuol dire ascoltare? Quale ruolo gioca la discriminante uditiva nell’interazione umana? Prestando orecchio agli indizi modulati dalla fenomenologia abbiamo avuto le prime prove intorno alle quali si è andata aggregando una sempre più densa costruzione armonica. Il senso dell’udito ha uno speciale rapporto con il tempo perchè è il suono stesso ad avere con esso un rapporto particolare. Il suono ci pone nella simultaneità: non si può ascoltare alcunché al di fuori del flusso temporale in cui avviene la produzione sonora. Si può anche pensare, dunque, che il suono abbia uno speciale rapporto con la memoria in quanto ascoltare vale come fulminea elaborazione del ricordo di ciò che un attimo prima è giunto alle orecchie: si intende quello che si è già ascoltato. Anche lo spazio può essere percepito secondo una prassi uditiva. Udire i suoni ci pone immediatamente e sempre al centro di uno spazio acustico: noi percepiamo allo stesso modo quanto proviene dall’alto, dal basso, da davanti, da dietro. Esiste poi un particolare, unico rapporto che lega l’ascolto all’interiorità: siamo in grado di percepire l’interno di qualcosa mediante il suono senza dovervi penetrare dentro. Il senso della socialità viene espresso, in molti casi in maniera privilegiata, attraverso l’ascolto: il suono è uno dei veicoli predisposti alla comunicazione e possiede come una sorta di primato nel favorire lo stare insieme degli individui. Altri sensi possono assecondare la reciprocità ma il suono consente anche di superare la distanza. Il farsi della cultura è orientato dalla peculiare preminenza o gerarchia esistente nel campo del sensorio: così le culture che, con Ong, definiamo orali/aurali, attribuiscono all’udito importanza differente di quanta non ne venga posta in una cultura visualista, come quella occidentale contemporanea. In tutte le dimensioni culturali dove è prevalente la trasmissione orale del sapere, il senso del sacro risuona nel campo acustico della bocca di un oracolo, l’attribuzione di realtà e di verità agli eventi, la sicurezza dei rapporti fra gli individui, si concreta nel continuo feedback bocca/orecchio.
Da tempo, come si suol dire, “una pulce mi ronzava all’orecchio” e una serie di interrogativi mi hanno stimolato a intraprendere tale ricerca: in che termini e in che misura forme e comportamenti sonori partecipano a orientare la reciprocità sociale? Può un codice acustico avere rilevanza nella formazione delle categorie dell’immaginario e del simbolico? Quante forme può assumere il senso dei suoni? Il campo della ricerca circoscritto a un unico paese della Calabria va interpretato come scelta metodologica volta a far affiorare, in un contesto sociale dato, i termini di una “mentalità acustica”: un’intera comunità, nella “concretezza” delle proprie fisionomie auditive, segue un sommesso, evanescente indizio sonoro, risponde prontamente ai segnali del proprio ascolto, per orientare i comportamenti, la conflittualità, lo stare insieme. “Il testimone auricolare non affatica la vista, in compenso ha un udito tanto più fine” scrive Elias Canetti (1995).
Tempo e spazio sono le due coordinate su cui si disponevano gli elementi di volta in volta affioranti nel corso della ricerca sul campo. L’esistenza di una geografia acustica e di un tempo dei suoni è risultata reale dall’“ascoltazione partecipante” della processione del Venerdì Santo: il richiamo sociale del suono è in questa occasione inequivocabile e si concreta nella scala rumore-suono-musica, nella più completa e densa articolazione acustica possibile.
L’esplorazione del paesaggio sonoro di Mesoraca è andato di pari passo con la scoperta dei comportamenti di reciprocità sociale presenti in ambito maschile e femminile. Una categoria economica, ancora numericamente apprezzabile come quella dei pastori, è anche detentrice della più complessa partitura di suoni riscontrabile all’interno di questa comunità: i diversi piani del sentire sonoro sono in immediata comunicazione, come testimonia lo stretto legame che unisce l’intonazione dei campanacci delle capre a quella delle canne della zampogna. Il paesaggio sonoro entro cui si dispiega l’attività lavorativa dei pastori riverbera anche la trama sociale entro cui, ognuno di essi, è collocato. Portare in chiesa la propria presenza musicale, ri-sacralizzarla mediante tale azione e poi distribuirne il suono di casa in casa sono tutti atti che hanno come fine quello di rinsaldare vincoli amicali e alleanze sociali ed economiche.
Il panorama acustico al femminile rimanda gli echi del sacro e del culto dei morti ed è affidato alla voce, la più naturale e, al tempo stesso, la più culturale delle fonti di suono. Sono grida, schiamazzi, vocii, bisbigli, sussurri, risa, pianti, canti sommessi o in varia maniera modulati, urlati. Spetta alle donne, con l’ausilio delle voci e del canto, tenere attivamente aperta una via di comunicazione con il mondo dell’al di là. Il recitativo, la preghiera, la litania, la melopea si spandono nello spazio acustico delle case e delle chiese, costituendo prova udibile di un costante e sicuro rapporto con il divino. Il pianto e la lamentazione rimandano il segnale sonoro del lutto e della necessaria re-integrazione e ri-fondazione della presenza del morto, come antenato, nell’intreccio dei legami sociali.
Ho descritto, dunque, una Mesoraca, quella che si esprime attraverso un peculiare, organico, codice sonoro: un “paese dei suoni” entro il quale una realtà convive e si intreccia dialetticamente con altre, in parte differenti, nel modo di orientare l’esistenza degli individui. Spesso, tali differenti realtà convivono nei comportamenti e nell’orizzonte delle medesime persone. Aver “isolato” questa Mesoraca mi ha permesso di constatarne la consistenza socio-culturale, valutarne il forte grado di coesione interna, avere prova del senso di riconoscimento identitario che ogni individuo vi ripone. In quella Mesoraca, emersa dalla coerente articolazione della ricerca etnografica, si possano individuare i tratti di una vera e propria comunità acustica, all’interno della quale, il segno della propria esistenza nel mondo equivale ad “ascoltare il mondo”.