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L’idea di uno studio sugli “sciamboli” è nata per fermare una tradizione, quella dei canti sull’altalena, che gli anziani del Sub-Appennino Dauno ancora ricordano ma che ormai non cantano da circa sessanta-settant’anni. L’obiettivo iniziale era raccogliere i canti ancora presenti nella memoria degli ultraottuagenari per non disperdere un repertorio quasi sconosciuto in Puglia, facente parte di una tradizione musicale abbastanza inusuale, con caratteristiche melodiche arcaiche e un rituale del tutto particolare. La ricerca, poi, estendendosi ad altri territori confinanti, ha portato a valutazioni e comparazioni anche con altre aree del Sud Italia che presentavano canti con caratteristiche simili. Anche in questo caso lo studio ha confermato un repertorio, quello dei canti all’altalena, poco documentato, anche nel panorama nazionale di musica tradizionale.
Per una prima valutazione dei dati e degli informatori esistenti, preziose si sono rivelate le segnalazioni e le indicazioni di quanti, all’interno di Associazioni ed Istituzioni locali, con grande convinzione si sono dedicati alla raccolta dei testi e alla diffusione di alcuni canti attraverso manifestazioni culturali. In particolare, nel comune di Volturino, che si è rivelato essere un sito in cui il canto all’altalena si contraddistingue per connotazioni particolarmente originali, questo repertorio, grazie all’opera di studiosi e cultori locali[1], da qualche anno costituisce ormai parte dell’identità del luogo; sin dalle prime premesse, l’iniziativa è stata accolta con un entusiasmo superiore alle nostre aspettative, poi riconfermato durante le indagini sul campo, che ha rivelato grande interesse nei confronti di questo settore.
La ricerca, avviata dal Conservatorio di Musica “U. Giordano” di Foggia, è partita dal paese di Volturino per estendersi poi nei territori limitrofi. In alcuni comuni, quali Biccari, Motta Montecorvino e Pietramontecorvino, sono state trovate altre tracce di questi canti ed è stato possibile registrarli; in altri territori confinanti come Volturara o Alberona, gli anziani intervistati, pur conoscendo gli sciamboli come canti di Volturino, non erano in grado di cantarli perché non ricordavano di averli mai eseguiti. In alcuni luoghi, documentare tale repertorio non è stato facile perché trattandosi di canti ormai in disuso dal secondo dopoguerra, essi sopravvivevano solo nel ricordo di pochi anziani ancora in vita oppure nelle testimonianze raccolte da figli o nipoti. Di fatto, la ricostruzione della memoria storica, dopo decenni di silenzio, è risultata più agevole in quei paesi come Volturino o Motta Montecorvino dove c’era stata una rifunzionalizzazione del canto da parte di studiosi locali[2] mentre altrove è probabile che siano stati cantati ma, come afferma Patrizia Resta, “rintracciarne la memoria sarà forse possibile dopo la pubblicazione di questa raccolta breve”.
Lo studio degli sciamboli pugliesi, iniziato nell’estate 2006, ha impegnato tre anni di lavoro e un’organizzazione della ricerca in più fasi di registrazione in cui, volta per volta, dovendo procedere ad una ‘scrematura’ dei materiali, si è cercato di raccogliere, analizzare e selezionare il repertorio. La fase preliminare alla ricerca ha richiesto una ricognizione del territorio, condotta all’interno del gruppo di ricerca antropologica della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Foggia[3].
Le prime registrazioni sono state effettuate a Volturino e Biccari tra il 15 e il 18 settembre 2006. In questa prima fase, fondamentali si sono rivelati i suggerimenti e l’esperienza di Sergio Bonanzinga, che ci ha accompagnato nelle prime tappe della ricerca sul campo. L’accoglienza dei primi informatori è stata incoraggiante; la maggior parte degli anziani intervistati, tra il divertito e l’entusiastico, hanno ricordato con piacere episodi giovanili della loro vita fornendoci anche altre indicazioni di conoscenti e parenti. Frequenti, durante il racconto, le occasioni per accennare a questi come ad altri tipi di canto, o magari solo per evocare i testi. Solo alcuni, più riservati, hanno temporeggiato preferendo aspettare l’evolversi della vicenda.
In seguito, grazie anche alla collaborazione degli studenti, alcuni dei quali residenti negli stessi comuni in cui è stata condotta la ricerca, è stato possibile intervistare altre persone o riascoltare più dettagliatamente le stesse, procedendo a confronti e scelte dei materiali. Inoltre, nelle tappe successive, la maggiore e più calorosa collaborazione instauratasi tra ricercatori e informatori, ha permesso di effettuare anche delle registrazioni video degli sciamboli eseguiti sull’altalena, ricostruita e predisposta per l’occasione.
Lo studio e l’analisi di questo repertorio ha evidenziato alcune particolarità che vanno oltre l’aspetto contestuale del gioco sull’altalena o del rito di corteggiamento e riguardano proprio un modo di cantare e di versificare in cui gli aspetti verbali e musicali si interscambiano modelli e schemi. In particolare, quando gli informatori parlano degli sciamboli, intendono non solo una forma di canto, con testi soprattutto di sdegno o d’amore, ma anche l’altalena stessa su cui cantavano; ne deriva un modo di esecuzione che assume particolari connotati di intonazione, anche dettati dalla spinta con il piede che uno dei due cantori, posti spalla contro spalla, dava all’altalena.
Un’altra caratteristica risiede nella sinergia verbale/musicale radicata in questi canti che ne determina la struttura generativa. A tal proposito, risulta appropriata la riflessione di Walter Brunetto che, analizzando i canti registrati a Biccari, osserva come le formule testuali/musicali, pur nel rispetto del modello di base, possono ammettere duplicazioni, integrazioni e perfino mutilazioni tali da assumere “la fisionomia e la funzione di veri e propri pattern, formule verbali intercambiabili”.
Al di là dell’importanza della scoperta di un repertorio mai documentato nel Sub-Appennino Dauno, il progetto ha mirato ad una prospettiva più ampia che prendesse in considerazione e confrontasse questo repertorio con altri canti all’altalena presenti sul territorio nazionale ed archiviati presso i più importanti centri di documentazione di musica di tradizione orale italiana.
Ne è emerso uno studio di carattere descrittivo/comparativo che ha arricchito e apportato degli sviluppi interessanti alla ricerca in quanto, per la prima volta, mettendo insieme tutti i documenti sonori concernenti i canti all’altalena e prendendo in considerazione sia il contesto di esecuzione che la morfologia delle strutture verbali e dei moduli musicali, ha permesso una sintesi degli elementi comuni ed un censimento delle differenze. Una ricerca che man mano ha acquisito anche uno spessore diacronico perché, oltre ad avvalersi di documenti sonori che coprono un arco di tempo di oltre cinquant’anni, ha utilizzato fonti bibliografiche riferite alle varie zone d’interesse. Inoltre, l’accurata metodologia adottata per l’analisi musicale[4] ha contribuito a definire alcuni tratti dello stile esecutivo di questi canti e la loro struttura profonda.
L’analisi e la comparazione dei canti all’altalena ha evidenziato un repertorio con un contenuto di testi d’amore o d’ingiuria localizzato solo all’interno di un’area limitata della Penisola, corrispondente alla provincia di Foggia, ad alcune regioni settentrionali rispetto ad essa –Molise, basso Abruzzo, Lazio sud orientale – e, a sud, ad alcune zone della Basilicata e della Calabria settentrionale.
Formalmente ne è emerso un quadro abbastanza omogeneo sia dal punto di vista musicale che testuale in cui le varianti riguardano soprattutto modalità di esecuzione legate alle diverse forme assunte dalla melodia di superficie in uso nei differenti paesi e al diverso gusto dei cantori, che si esprime soprattutto negli abbellimenti, in accelerazioni e rallentamenti nel ritmo o variazioni di alcune parole nelle risposte al testo[5]. Ma l’uniformità più evidente riscontrata riguarda la struttura profonda della musica, che si presenta con un modulo caratterizzato da un disegno melodico scalare discendente e la presenza nel canto di frequenti melismi che determinano un’instabilità di intonazione.
La ricerca e lo studio sugli sciamboli ha richiesto l’utilizzo di varie competenze specifiche: è per questo che si è scelto di operare “a più mani”, anche ai fini della presente pubblicazione; l’intento era di creare una sinergia di lavoro che potesse offrire una trattazione dell’argomento sotto ogni dimensione, antropologica, culturale e musicale. Con queste finalità, le due Istituzioni universitarie coinvolte in questo progetto hanno operato spesso in azioni congiunte. La cattedra di antropologia della Facoltà di Lettere dell’Università di Foggia si è occupata dello studio demo-etnoantropologico del territorio, della contestualizzazione del canto, delle fonti e della trascrizione dei testi del Sub- Appennino Dauno mentre il Conservatorio, coordinatore della ricerca, ha effettuato le registrazioni, curato la trascrizione filologica delle musiche, elaborato il master audio del CD ed avviato uno studio sulle tecniche di registrazione sul campo e sull’analisi del suono, all’interno di un percorso laboratoriale improntato sulla metodologia elettroacustica applicata all’etnomusicologia (vedi il saggio di D. Monacchi). Tale lavoro è stato un momento e strumento di importante verifica della ricerca. Le analisi sonografiche e della forma si sono rivelate utili per la comprensione e la decodifica delle peculiarità sonore che presenta un repertorio etnografico.
(…) La scelta del materiale ha imposto significative selezioni dettate dalla preoccupazione di seguire l’obiettivo iniziale che ci eravamo posti, cioè di documentare con rigore metodologico e scientifico solo gli sciamboli e i canti all’altalena. Con questo criterio i canti sono stati studiati e analizzati, anche considerando il significato delle “varianti” e l’importanza dell’interpretazione e/o delle variazioni che potevano avvenire nell’ambito del canto. Contemporaneamente, le riflessioni di carattere antropologico, scaturite dalle ricerche d’ambiente e dallo studio della storia sociale di cui il cantore era stato interprete, hanno permesso di ricostruire il patrimonio identitario, espressivo e comunicativo di questo repertorio.
[1] Fondamentale, per l’avvio della ricerca e le prime indagini, il lavoro di raccolta dei testi degli sciamboli già svolto da Donato Mazziotti e la disponibilità di Costantino Postiglione che nell’ambito della Rassegna della solidarietà e del volontariato (sezione Avis)di Volturino, con grande determinazione, da anni promuovono il recupero di tale repertorio.
[2] Da segnalare, anche a Motta Montecorvino, il prezioso lavoro di Pasquale Gramegna che nel 1984 ha pubblicato Aspetti del folklore di Motta Montecorvino, una raccolta di testi, tra cui uno sciambolo.
[3]Lo studio è stato condotto dal Dipartimento di Scienze Umane, diretto e coordinato da Patrizia Resta; le indagini sul territorio sono state svolte da Rosa Parisi, Francesca Scionti e Rosa Verdone che hanno indagato, rispettivamente, nell’area centrale, settentrionale e meridionale del Sub-Appennino Dauno.
[4] Cfr. l’approfondita sezione sulle Trascrizioni musicali e schede di analisi curata da Walter Brunetto.
[5] Tutti i canti sono a voci alterne, con due cantori adulti, in cui la prima voce esegue un verso e la seconda lo ripete, con o senza varianti, oppure, ma solo a Volturino, risponde con una formula verbale non sense,”te ma na nena”.