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L’azione devozionale più solenne nell’area del Cilento antico sembra essere – ormai da lungo tempo – una sorta di peregrinatio che, nella cornice penitenziale della Settimana Santa, tutte le confraternite compiono per visitare i cosiddetti “sepolcri” (con espressione locale: subburcri) allestiti nelle diverse chiese e cappelle dell’area. Gli itinerari di visita seguiti da ogni confraternita non sono limitati al territorio del paese o casale di appartenenza – come è consuetudine generalizzata in aree diverse – ma appaiono distribuiti in un ambito assai più esteso nell’intera area del Monte Stella. Il “viaggio” delle confraternite cilentane si realizza, attualmente, nella giornata del Venerdì Santo – almeno a partire dalla fine degli anni Cinquanta del secolo scorso[1]–, dalla mattina, con una intensificazione nel pomeriggio, fino alla sera e alle prime ore della notte. Nel suo pellegrinaggio, ogni confraternita cilentana parte dal casale o paese di residenza, attraversa il territorio del Cilento antico e tocca numerose chiese di paesi e casali diversi; generalmente, si indica in un multiplo di tre il numero di chiese da visitare: tre, sei, nove[2]. Nel caso in cui, al momento di arrivare in chiesa per la visita devozionale, la congrega trovi il parroco in procinto o nell’atto di celebrare le funzioni del venerdì pomeriggio, i confratelli possono risolversi secondo tre soluzioni:
• aspettare fuori della chiesa la fine delle operazioni del celebrante;
• negoziare con il parroco i modi e i tempi della visita e delle funzioni stesse[3];
• raggiungere un’altra località dell’itinerario progettato, e tornare dopo, eventualmente, a visitare la medesima chiesa.
All’interno di ognuna delle chiese visitate, la confraternita “in viaggio” esegue un percorso devozionale definito, che dura all’incirca trenta minuti. La “visita” consiste in un tragitto condotto in circolo all’interno di ogni chiesa, spezzato da numerose soste; durante le fermate i confratelli cantano musiche diverse e con assetto multiforme: monodiche, polifoniche, in solo, in alternanza responsoriale e in gruppo. Il percorso devozionale può suggerire l’idea di una sorta di via crucis, ma priva di commento e di preghiere recitate, e con un numero ridotto e non determinato di soste[4]. Ogni confraternita progetta un suo autonomo itinerario, che tocca chiese e cappelle di paesi e casali diversi, e appare nuovo ogni anno, nonché diverso rispetto a quanto effettuato dagli altri sodalizi. Il “viaggio” devozionale comporta un esplicito obbligo di reciprocità: la confraternita la cui chiesa o cappella sia visitata da altri sodalizi, ha l’obbligo di ricambiare la visita, l’anno successivo, a tutte le confraternite giunte l’anno precedente[5]. Il pellegrinaggio confraternale, perciò, mette in relazione polivoca tutti i sodalizi attivi e, quindi, costituisce lo scenario in cui collocare simbolicamente la conferma, o la denuncia, di legami e relazioni precedenti. In senso più ampio, l’itinerario di visita assume l’aspetto di una sorta di grande circum-ambulazione,con orbite variabili, chiuse o spezzate, condotta simultaneamente da gruppi diversi ma interdipendenti, lungo le pendici del Monte della Stella: come abbiamo visto, la cima di questa montagna incombe su tutto il Cilento antico, e intorno a essa risultano disposti i principali centri dell’insediamento umano, sia nel versante rivolto al mare che su quello orientato verso l’entroterra. Gli itinerari di visita seguono percorsi assai diversi, includendo alcune località e, viceversa, escludendone altre. Queste traiettorie, mappate sul terreno, sembrano assumere un particolare rilievo simbolico, costituendo una sorta di rete intorno alla cima del Monte della Stella, che alcuni studiosi delle modalità di insediamento locale considerano come il centro mitico di tutta l’area[6]. Poiché i percorsi di visita sono limitati esclusivamente all’area del Cilento antico, con centro intorno al Monte Stella, questa peregrinatio sembra costituire un unicum devozionale, proprio e specifico dell’area, e assai diverso da consuetudini rilevabili in aree vicine e non. Sul piano simbolico, gli itinerari del pellegrinaggio confraternale sembrano “marcare lo spazio”, nel senso di fissare – intorno a un centro vuoto quale è appunto il Monte Stella – la memoria e l’identità di una comunità che possiede comuni radici, ma non dispone di un centro forte ed egemone verso cui convergere. In questa prospettiva le “vie dei canti” delle congreghe contribuiscono a perpetuare annualmente i rapporti fra paesi e casali, e relativi gruppi familiari e parentali, in una rete sovra-comunale e policentrica di antica tradizione, evitandone la dispersione e la frammentazione.
Attualmente il percorso di circum-ambulazione è realizzato in autobus, ma in passato era effettuato a piedi, ed era piuttosto frequente la possibilità che confraternite diverse si incrociassero lungo il “viaggio”. Oggi, l’incontro fra confraternite diverse si realizza quasi esclusivamente in prossimità delle chiese, prima dell’ingresso nelle stesse; tale circostanza è l’occasione per una breve azione cerimoniale denominata bacio delle croci, che coinvolge i due diversi crociferi, e richiama le coordinate spaziale rilevabili (altrove: in contesti liturgici) nel gesto rituale dell’incensiere.
Alla fine dell’itinerario, dopo aver visitato chiese e cappelle dell’area, con orari diversi (a sera o anche più tardi, fino alla mezzanotte), ogni confraternita conclude la sua devozione nella chiesa di appartenenza, dove attende la popolazione. Il rientro e la realizzazione del percorso devozionale risultano particolarmente emozionanti per i presenti, nonché per l’osservatore esterno: le chiese sono gremite, si attende fino a tardi, e i membri della confraternita che rientrano sono accolti con palesi espressioni di simpatia e orgoglio; i confratelli, per parte loro, cercano di ricambiare cantando al meglio delle personali capacità; inoltre, gli adulti consentono talvolta a bambini e adolescenti, anch’essi nell’uniforme confraternale e provenienti dal pellegrinaggio, di cantare per la prima volta davanti a un “pubblico”, accogliendo con molto affetto eventuali incertezze e disagi nell’esecuzione.
I percorsi di visita
Al fine di sottolineare ulteriormente la peculiarità cilentana della circum-ambulazione nella peregrinatio devozionale, può essere opportuno ricordare ancora che nei territori immediatamente vicini al Cilento antico - e anche altrove - non sembrano sussistere né la pratica della visita itinerante estesa ai paesi vicini, né lo scambio di visite fra confraternite diverse. Si potrebbe obiettare, d’altra parte, che la visita alle chiese esterne al proprio paese sia quasi una scelta obbligata: dal momento che la visita ai sepolcri va condotta presso più chiese (come è tradizione generalizzata pressoché ovunque in Italia), ciò nel Cilento antico non sarebbe possibile nel piccolo territorio del paese o casale di appartenenza ove, spesso, non sono presenti più di due chiese o cappelle (talvolta solo una); questa limitazione, pertanto, spingerebbe necessariamente le confraternite cilentane a rivolgersi fuori del proprio paese, proprio per completare il circuito. L’obiezione, tuttavia, non è confermata da diverse testimonianze etnografiche che, invece, rivelano come tale problema sia risolto, altrove, semplicemente ripetendo il giro all’interno del proprio paese, replicando le visite alle chiese “disponibili” nel territorio comunale o della parrocchia di afferenza. Per citare un’esperienza di confronto, ricordo che in Puglia “i sepolcri da visitare devono essere non meno di sette, e nei piccoli paesi, dove le chiese non raggiungono tale numero, si ripete il giro per non venire meno al precetto”[7]. Ancora, mentre altrove la sera del Venerdì Santo si pratica la processione del “Cristo morto”, non tutte le confraternite cilentane hanno in uso tale abitudine. In definitiva, si può ritenere che il “piccolo rito cilentano” della peregrinatio circum-ambulante non sia occasionale o accidentale, ma risponda a significati e valenze profonde, radicate nella storia culturale del Cilento antico.
[1] Come si vedrà nei capitoli successivi, precedentemente a questo periodo la disposizione settimanale risulta diversa.
[2] Diversamente, in altre regioni, è largamente preferito un itinerario di visita che preferisce la serie tre, cinque, sette, con eventuale ritorno in una chiesa già visitata, allo scopo di raggiungere il numero minimo di sette. Cfr. Bernardi 1991: 76, 355, 452; vi si citano diverse testimonianze etnografiche.
[3] Nel diario della confraternita SS. Rosario di Montecorice, disponibile in rete, a proposito della visita effettuata il Venerdì Santo del 2007, si legge: “Da Omignano ci siamo diretti a Santa Lucia dove, purtroppo, il Parroco doveva celebrare la funzione religiosa. Abbiamo raggiunto un compromesso ed il parroco ci ha pemesso di entrare in Chiesa a patto che non ci soffermassimo troppo a lungo. Abbiamo allora deciso di onorare il sepolcro, intonando una sola canzoncina per non ostacolare il programma liturgico. Grazie ancora alla popolazione per l’ospitalità e … sarà per la prossima volta” (www.ssrosario.it, rilevazione effettuata il 6 luglio 2007).
[4] A tal proposito, alcuni studiosi hanno sottolineato l’attrazione e pressione normativa esercitata dal profilo della via crucis, in contesti diversi: “La formula della via crucis, in senso lato, è un po’ il modello canonico a cui il clero si è appellato per modificare le processioni più coreografiche del venerdì santo” (Bernardi 1991: p. 423).
[5] Relazioni di scambio e reciprocità sono documentate anche altrove, nel salernitano, pur se in occasioni calendariali e contesti sociali diversi: “A San Cipriano Picentino la notte del Venerdì santo si formano due processioni […] I due gruppi formati da congreghe, quando si incontrano lungo la strada si salutano ritualmente coprendosi il volto con il cappuccio, inchinandosi, inchinando le Croci che aprono i cortei e così via. Ogni gruppo si reca nella chiesa dell’altro gruppo a rendere omaggio al Sepolcro da questo costruito […] A Bracigliano e a Siano vi era un rituale ancora più complesso. All’annuncio della Resurrezione i pastori di Bracigliano e quelli di Siano scendevano nei loro rispettivi paesi con le greggi divise e precedute dall’esemplare maschio più appariscente agghindato di nastri e colori. Ogni animale aveva il suo campanaccio e quindi il concerto era notevole. Una volta attraversato il proprio paese, ciascun gruppo passava nell’altro paese che così riceveva la visita dei pastori vicini. Insomma, lo stesso gruppo di rituali controllava la conflittualità pastori-contadini e quella tra paesi vicini (Apolito 2004: 41).
[6] Cfr., a tal proposito, gli esiti di una ricerca sul genius loci dell’area cilentana; in particolare si considerino i saggi di Giuseppe Anzani Indizi per una costruzione d’immagine. Il centro vuoto, l’ombelico (Mazzoleni e Anzani 1993: 69-82) – concernente le valenze simboliche attribuite al Monte Stella, riconoscibili nella documentazione iconografica e nelle emergenze insediative rilevabili sul territorio – e, soprattutto, Lo spazio rituale (Mazzoleni e Anzani 1993: 53-56) – con una ricognizione sui percorsi di visita ai sepolcri realizzati dalle confraternite – e Lo spazio sonoro (Mazzoleni e Anzani 1993: 47-52).